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Ep. XXV – La luce del Verbo

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Ep. XXV - La luce del Verbo
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La luce del Verbo

 

Sant’Agostino dice mirabilmente (sermone 43): “Cristo dunque è venuto a dare luce agli occhi, perché il diavolo li aveva accecati“. E lo stesso santo dice (lettera 120, a Onorato): “Il Figlio di Dio non è assente neppure dalla mente dei malvagi, anche se essi non lo vedono, così come la luce non viene vista quando è presentata agli occhi dei ciechi“. La luce del Verbo risplende nelle tenebre degli uomini malvagi grazie alla luce della ragione, alle voci delle creature, che gridano tutte a gran voce che esiste un Creatore e che deve essere adorato e amato. Risplende per la legge di natura scritta nell’anima, per la Nuova Legge, per le Scritture, per i dottori e i predicatori, per le sante ispirazioni e per molte altre cose di questo genere. Perciò lo stesso Agostino dice (secondo trattato su Giovanni): “Non cadere nel peccato e questo sole non tramonterà su di te. Se cadrai nel peccato, tramonterà e le tenebre cadranno su di te“. “Se vuoi vedere la luce, sii anche tu luce. Ma se ami le tenebre e le concupiscenze delle tenebre, esse ti oscureranno e ti renderanno cieco“.

Nella Sacra Scrittura, in particolare in san Giovanni, sia nel suo Vangelo che nelle sue Epistole, la fede e la grazia di Cristo sono paragonate alla luce e il peccato alle tenebre, in ragione di molte opportune analogie fra di essi. Di fatti, la luce è celeste ed è la più nobile, la più immediata e la più pura delle cose naturali. È imperturbabile e attivissima. Non può essere contaminata da alcuna impurità, anche qualora vi si mischi. Porta calore, gloria e gioia. Fa vedere tutte le cose e dà vita e forza a ogni essere vivente. Così è anche Dio e la Sua grazia. Il contrario di tutto questo si trova nel peccato, il cui simbolo sono le tenebre. A questo si aggiunga il fatto che la grazia conduce alla luce e alla gloria eterna, il peccato alle tenebre più profonde e più estese.

Non l’hanno accolta“. In greco, οὐ κατέλαβεν, cioè, come traduce Vatablus, “non l’hanno ricevuta”. Il significato è che era così grande la cecità e la depravazione degli uomini increduli e malvagi che, quando la Luce si offrì loro di propria iniziativa, non vollero abbracciarla, né riceverla; anzi, chiusero gli occhi per non ammetterla, perché “le loro opere erano malvagie“, come dice S. Giovanni (3,19).

Ci fu un uomo inviato da Dio“, ecc. Fu mandato, come dice Luca (3,1), “l’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare […]; e la Parola di Dio si fece udire […] nel deserto“. Afferma Crisostomo: “Quando capisci che è stato mandato da Dio, non ritenere che sia stato annunciato qualcosa di puramente umano, ma che tutto sia divino. Egli non dichiara nulla di suo, ma i segreti di Colui che lo manda. Per questo Giovanni è chiamato angelo, cioè messaggero. È compito di un messaggero non sapere nulla di sé“.

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