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Ep. XXIX – La gerarchia della Chiesa

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Ep. XXIX - La gerarchia della Chiesa
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A. La gerarchia della Chiesa

La Chiesa insegna infallibilmente: ‘Se qualcuno afferma che nella Chiesa cattolica non esiste una gerarchia istituita per ordine divino e composta di vescovi, sacerdoti e ministri, Anathema Sit[1]. Il concilio, per contro, mette in dubbio che vi sia una gerarchia che comprende:

  1. il papa;
  2. i vescovi;
  3. i preti;
  4. i laici.

 

  1. Il papa

 

          Nota storica[2]

La teoria che si oppone al dogma del primato del Papa è nota come “collegialità“. Essa attribuisce un’importanza eccessiva al “collegio episcopale”, affermando che esso può godere di un’autorità in maniera più o meno indipendente dal Papa e con o senza il Papa quale membro del collegio stesso. I liberali prevedevano questa forma di autorità indipendente e democratica come eredità del “Collegio apostolico dei Dodici”. Padre Wiltgen scrive che la battaglia più importante e drammatica del Concilio non fu quella rispetto alla Libertà religiosa, ma quella rispetto alla Collegialità, anche se fu una battaglia condotta quasi interamente dietro le quinte[3].

Le forze trainanti di questo movimento erano tre. La prima era quella ecumenica[4], dal momento che il primato di Pietro costituisce ovviamente il principale ostacolo al dialogo ecumenico. Il termine “collegialità”[5] comparve per la prima volta nel 1951 in un articolo scritto da padre Yves Congar OP per la rivista dell’abbazia di Chevetogne ‘Irenikon’. Nel 1960 l’istituto ortodosso San Sergio di Parigi propose l’idea di un’ecclesiologia “collegiale”, basata sul primato dell'”amore” contro l’ecclesiologia cattolica, basata sulla nozione giuridica di “potere”. Dom Olivier Rousseau di Chevetogne, vicino tanto all’istituto parigino quanto a monsignor Charue, vicepresidente della commissione teologica conciliare, si adoperò molto per promuovere queste idee.

La seconda forza trainante del movimento collegialista fu di tipo teologico, derivante dall’anti-infallibilismo del XIX secolo, dal febronianesimo del XVIII secolo e dal conciliarismo del XV secolo. La teoria conciliarista fu espressa nel documento eterodosso Haec Sancta del concilio di Costanza (1418) con l’affermazione che quel concilio “riceve il proprio potere direttamente da Cristo e che chiunque, [compreso il papa], è tenuto ad obbedirgli“. Nonostante il fatto che questa affermazione sia stata poi ripetutamente condannata come eretica[6], è riemersa, per quanto in forma mitigata, in una serie di saggi scritti da un certo Dom Paul de Vooght nel 1959.

La terza forza del movimento era di natura politica e derivava dall’avversione dei liberali ad una visione della Chiesa come “monarchia assoluta” in opposizione alla forma democratica della società moderna. I collegialisti di matrice politica vedevano il concilio come un’assemblea democratica in cui i vescovi rappresentavano “la volontà del popolo di Dio“.

I padri Congar e Küng furono influenzati da tutte e tre le teorie. Il primo annotò nel suo diario: “Per mille anni da noi si è visto e costruito tutto nell’ottica del Papato e non in quella dell’episcopato e della sua collegialità. Ora occorreva fare questa storia, questa teologia, questo diritto canonico“.

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[1] Concilio di Trento, can. 6, D 1776.

[2] RdM IV 9, V 13.

[3] Op. cit., p. 228.

[4] Si veda la nota storica sull’ecumenismo all’inizio del capitolo II.

[5] Esso traduce il termine russo sobornost.

[6] Il primato del papa contro Haec Sancta fu solennemente definito da Eugenio IV nel 1439, così come da Pio II nella bolla Exsecrabilis, 1460.

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