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Ep. XXII – E noi ne abbiamo veduta la gloria

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Patristica
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Ep. XXII - E noi ne abbiamo veduta la gloria
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E noi ne abbiamo veduta la gloria“. In greco, ἐθεασάμεθα, “abbiamo assistito a“, come un nuovo e meraviglioso spettacolo in un teatro, affinché il Verbo velato in carne ci mostrasse la gloria della Sua Divinità per mezzo dei miracoli e della sapienza divina. Così dice l’Apostolo (1 Cor 4, 9): “Siamo divenuti spettacolo (in greco, teatro) al mondo e agli angeli e agli uomini“. Ascoltate sant’Agostino: “Con questa sua natività Egli ha fatto un collirio, per mezzo del quale gli occhi del nostro cuore possono essere purificati. Nessuno può vedere la Sua gloria se non è guarito dall’umiltà della carne. La carne ti aveva accecato: la carne ti guarisce. Così viene il medico perché con la carne guarisca i vizi della carne“.

Gloria eguale a quella dell’Unigenito del Padre“. Il significato è: abbiamo visto la gloria di Cristo, che era tale e così grande quale e quanta si addiceva all’Unigenito o che era tale da manifestarLo come l’Unigenito di Dio. A Lui infatti, come dice san Basilio, Dio Padre ha dato tutta la Sua gloria, tutta la Sua sostanza, come i genitori sono soliti lasciare tutta la loro eredità al figlio unigenito. San Giovanni e i suoi compagni hanno visto questa gloria di Cristo nella Trasfigurazione sul monte Tabor, nella Sua gloriosa Resurrezione, nella Sua Ascensione, nella Sua vita divina e nei Suoi miracoli. Perciò la parola “eguale” qui non denota una similitudine, ma la realtà. Così san Crisostomo dice: “La parola ‘eguale’ in questo passaggio non è un’espressione di somiglianza, ma di conferma e di certissima definizione“. E Teofilatto dice: “Vediamo la Sua gloria, non come quella che aveva Mosè, né come quella con la quale i cherubini e i serafini apparivano al profeta, ma la gloria come quella che si addisse all’Unigenito del Padre, la gloria che gli appartiene per natura“.

Inoltre, la gloria della Divinità di Cristo risplendeva attraverso la carne che Egli aveva assunto, come attraverso un velo, come dice Eutimio, che aggiunge: “Che cos’era questa grazia del Verbo? Sicuramente il compimento di miracoli mai visti prima: la sua luminosa e soprannaturale Trasfigurazione, l’oscuramento preternaturale del sole al momento della sua Passione, lo squarcio spaventoso del velo, il terribile terremoto, lo squarcio delle rocce, l’apertura dei sepolcri, la resurrezione dei morti e quello che è il più importante di tutti, meraviglioso al di là di ogni parola o pensiero, la Resurrezione del Signore“.

Del Padre“. Questo è aggiunto, dice san Bernardo, “perché Cristo ci ha portato dal cuore del Padre tutto ciò che è paterno, affinché il timore stesso non percepisca nel Figlio di Dio altro che ciò che è dolce e paterno verso il genere umano“. Più grandiosamente e in modo maggiormente conforme alla lettera dice san Cirillo: “La grazia soprannaturale è ferma e immutabile, sempre uguale, sempre ugualmente piena della propria dignità. Perciò, sebbene il Verbo si sia fatto carne, non è stato vinto dall’infermità della carne, né è decaduto dalla Sua antica maestà e onnipotenza, perché si è fatto uomo. Abbiamo infatti visto, dice, la gloria di Cristo da Dio, più alta della gloria delle creature, affinché chiunque disponga di intelletto possa confessare che essa non può appartenere ad altri che all’Unigenito Figlio di Dio“.

Pieno di grazia e di verità“. Erasmo e Gaetano uniscono queste parole a ciò che segue e le riferiscono a Giovanni Battista. Collegano e traducono come segue: Giovanni, essendo pieno di grazia e di verità, rende testimonianza di Lui, cioè di Gesù, che è il Cristo. Supportano la propria opinione indicando come in greco si legga πληρης, vale a dire “pieno“, al nominativo maschile. Questa indicazione e traduzione, però, è contraria a tutti i Padri e al consenso perpetuo della Chiesa, oltre che a quanto emerge dalle versioni greca, latina, siriaca e araba, in cui si pone un punto fermo dopo la parola “verità“. È inoltre incoerente con ciò che segue, poiché Giovanni, spiegando come Cristo fosse pieno di grazia e di verità, soggiunge: “E dalla pienezza di lui tutti abbiam ricevuto“. Né risulta probatorio il fatto che il vocabolo greco per “pieno” sia declinato al nominativo, sia perché molti codici riportano πλήρη all’accusativo e altri indicano πλήρη a margine, sia perché le parole precedenti, “E noi ne abbiamo veduta la gloria” ecc., andrebbero lette come fra parentesi. Il nominativo πλήρης è riferito a λόγος, il che significa: “Il Verbo, pieno di grazia e di verità, si è fatto carne“. C’è un’allusione alla parola umana, il cui massimo merito è quando è graziosa e vera. Così anche il Verbo divino, non solo come è in sé, ma anche come si è fatto carne, portava con sé l’eccellente grazia, come in una fonte, ed era abbondantemente dotato da Dio di ogni dono di grazia, sia in parole che in opere, come è stato detto: “E tutti [ammiravano le] parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (Lc 4, 22). Lo stesso Verbo fatto carne era anche pieno di verità, perché ha smascherato tutti gli errori, ha bandito le ombre dell’Antica Legge e ha portato alla luce la verità stessa promessa dai profeti. “[In Lui] sono tutti i tesori riposti della sapienza e della scienza” (Col 2, 3).

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