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Ep. XIX – Non da sangue né da volontà di carne

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Patristica
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Ep. XIX - Non da sangue né da volontà di carne
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Ver.13 – “I quali non da sangue (greco) né da volontà (arabo, appetito) di carne”, ecc. San Giovanni fa qui un’antitesi tra la generazione umana e quella divina, dimostrando la superiorità di quest’ultima. Infatti,

  1. dice che la prima viene “dai sangui“, il che è un ebraismo per “sangue“, vale a dire il sangue dell’uomo, prodotto dal cibo.
  2. afferma che essa muove dalla volontà, cioè dalla concupiscenza della carne. Si tratta di quanto viene chiamato altrove carne e sangue, nei quali consiste la volontà o concupiscenza dell’uomo. Egli spiega che la volontà della carne è la volontà dell’uomo. Vale a dire la volontà o appetito o concupiscenza della carne è la volontà o concupiscenza per l’atto generativo, cui l’appetito carnale ambisce. D’altra parte, la generazione divina dei figli di Dio non viene dal sangue, né dalla volontà e dalla concupiscenza della carne, ma da Dio, cioè dalla volontà, dalla predestinazione e dall’amore di Dio. Inoltre, “da Dio” significa “dallo Spirito” e “dalla grazia di Dio“, attraverso cui la mente dell’uomo, prima carnale, viene rigenerata e giustificata, cosicché un uomo diventi spirituale, giusto e santo, un amico o anzi un figlio di Dio.
  1. Da Dio“, perché in questa rigenerazione dell’uomo, Dio non solo gli dona la Propria grazia e il Proprio amore e tutte le altre virtù, ma anche Sé Stesso, affinché l’uomo sia veramente giustificato, abbia lo Spirito, anzi l’intera Trinità, che realmente dimora nella sua anima e così diventi divino, figlio ed erede di Dio e congiunto a Cristo.

Ver.14 – “Il Verbo si è fatto carne”, ecc. Così è tradotto letteralmente nelle versioni siriaca, persiana, egiziana ed etiope. L’arabo, invece, dice: Il Verbo si fece corpo. Infatti, per carne si intende il corpo umano, quindi l’uomo. Da qui l’eresiarca Apollinare negava che il Verbo avesse assunto un’anima e una mente umane. Egli affermava che, al loro posto, c’erano la mente e la Divinità del Verbo divino. Così dice sant’Agostino (Le eresie, 55). La fede insegna infatti che il Verbo assunse sia una vera carne umana sia una vera anima ragionevole, dunque aveva due nature perfette e non disgiunte, quella divina e quella umana; conseguentemente, possedeva due volontà e una duplice mente, divina e umana, cosicché queste due nature con i loro attributi sussistono nell’unica Persona del Verbo; in tale Persona, ma non nella sua natura, è avvenuta tale unione, come definiscono il Concilio di Efeso contro Nestorio e il Concilio di Calcedonia contro gli Eutichiani.

Da questa unità di Persona segue, come insegnano i teologi, una partecipazione degli attributi (communicatio idiomatum) delle due nature, così che in Cristo, qualunque cosa competa all’uomo in quanto uomo, si possa predicare lo stesso della Sua Divinità e viceversa. Per esempio, noi diciamo correttamente che quest’uomo, cioè Gesù, è Dio, è l’Onnipotente, è il Creatore, è dall’eternità. Viceversa diciamo che Dio o il Figlio di Dio ha veramente sofferto, è stato crocifisso ed è morto. Infatti, in Cristo c’è una sola e medesima Persona divina, Dio e uomo, che ha subito tutte queste cose, sebbene secondo due nature diverse. Infatti, le azioni e le passioni sono proprie dei soggetti o delle persone, in qualunque natura esse sussistano.

Sentiamo sant’Agostino (Dialogo 65, “A Orosio“, q. 4). “Il Verbo si fece carne, senza essere cambiato dalla carne; così non cessò di essere ciò che era, ma cominciò a essere ciò che non era stato. Poiché assunse la carne, non si trasformò in carne. Per ‘carne’, come parte per il tutto, intendiamo l’uomo intero, cioè la carne e l’anima ragionevole. Come il primo uomo era morto sia nella carne che nell’anima, così bisognava che fosse vivificato sia nella carne che nell’anima, per mezzo del Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù“.

Ne consegue che, in secondo luogo, il Verbo si è fatto carne, non nel modo in cui l’acqua è diventata vino quando è stata cambiata in vino, né come il cibo diventa la nostra carne, quando si trasforma in essa, né ancora come l’oro diventa una statua, aggiungendo alla materia dell’oro la forma accidentale di una statua, ma in modo simile a quello in cui l’anima e la carne, essendo unite, diventano un solo uomo. Così sant’Atanasio nel Credo: “Uno, non per confusione di sostanza, ma per l’unità della persona. Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo, così Dio e uomo sono un solo Cristo“.

L’uomo, però, è uno secondo l’essenza; Cristo è uno secondo la persona. O ancora, è come quando un uomo viene vestito con un indumento: così una nuova sostanza è stata aggiunta al Verbo, come un indumento, ma in modo sostanziale, non accidentale; il Figlio di Dio, infatti, Si è rivestito della sostanza della carne, della nostra natura e l’ha congiunta e unita a sé intimamente nella stessa ipostasi del Verbo.

Carne” qui, come accade spesso nella Scrittura, significa per sineddoche l’uomo intero. Il Verbo si fece carne, cioè il Figlio di Dio si fece uomo. In modo simile, san Giovanni avrebbe potuto dire: il Verbo di Dio si fece anima. Ha preferito dire, però, “carne” anziché “anima“, per mostrare quanto sia grande la bontà di Dio, che per amore nostro ha umiliato Sé Stesso. Dio, infatti, si è fatto carne, affinché noi, invece della carne assai corrotta dalla concupiscenza e dal peccato, diventassimo per così dire divini, figli di Dio e simili a Dio Stesso. “Il Verbo“, dice san Cirillo (Epist. 8. “A Nestorio“), “unendo a Sé, secondo la Propria sostanza, la carne animata da un’anima razionale, fu ineffabilmente fatto uomo“.

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