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Ep. XII – Per ben interpretare il Vangelo di San Giovanni (prima parte)

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Patristica
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Ep. XII - Per ben interpretare il Vangelo di San Giovanni (prima parte)
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Canoni che chiariscono l’interpretazione

del Vangelo di San Giovanni

 

  1. Giovanni ha uno stile particolare, completamente diverso da quello degli altri evangelisti e autori sacri. Infatti, come un’aquila, talora si innalza al di sopra di tutti, altre volte scende verso il terreno, quasi lo facesse per una preda, per catturare i semplici con la genuinità del suo stile. Talora è saggio come i cherubini, altre volte brucia come i serafini. Il motivo è che Giovanni era il più simile a Cristo e il più caro a Lui; e a sua volta amava Cristo in modo supremo. Per questo motivo, durante l’Ultima Cena, si è adagiato sul Suo petto. Da questa fonte, quindi, ha attinto, per così dire, la mente, la saggezza e l’amore ardente di Cristo. Pertanto, quando leggi e ascolti Giovanni, pensa che leggi e ascolti Cristo. Perché Cristo ha trasfuso il Proprio stesso spirito e il Proprio stesso amore in san Giovanni.
  2. Sebbene Giovanni, secondo il parere di tutti, abbia scritto il suo Vangelo in greco per i greci, essendo egli stesso un ebreo e per amore di questa antichissima lingua, che era la sua lingua madre, abbonda, in confronto agli altri, di frasi e modi di dire ebraici. Per capirlo, quindi, è necessaria la conoscenza di due o addirittura tre lingue: l’ebraico, il greco e il latino. Così egli ebraicizza l’uso frequente di “e” col significato di “come” (sicut), al pari di Salomone nei Proverbi, dove si paragona il simile con il simile per mezzo della congiunzione “e”. “E”, in questi casi, è indicatore di similitudine e ha lo stesso significato di “come” (sicut). D’altra parte, egli grecizza l’uso del termine “forse” (forsitan) col significato di “sicuramente”. In Giovanni 8, 19 la particella greca ἄν esprime un’affermazione, non un’incertezza. Così anche in 8, 43 οὐ δύνασθε, “non siete in grado di”, è utilizzato con il significato di “non siete disposti a”. Inoltre, egli duplica costantemente l’Amen ebraico, mentre gli altri evangelisti lo esprimono una sola volta. I motivi di questa diversità sono esaminati nel cap. 3.2.
  3. Giovanni abbonda più nei discorsi e nelle dispute di Cristo con i Giudei che nelle cose fatte da Lui. Non riferisce tutti i discorsi e le dispute di Cristo, ma quelli di maggiore importanza. In particolare, dà un resoconto esauriente di quelli in cui Cristo dimostrò di essere sia Dio, sia uomo.
  4. In san Giovanni Cristo parla a volte come Dio e a volte come uomo. È quindi necessario un attento esame dei contesti, per distinguere l’uno dall’altro.
  5. Quando Cristo dice, come fa spesso in san Giovanni, che “non fa o non dice nulla da Sé stesso” o che “non Lui, ma il Padre fa o dice questo o quello”, bisogna intendere “originalmente” e “da solo”. Così, “né da solo, né come uomo compio queste cose; né come Dio ne sono il primo artefice; ma è Dio Padre che, insieme alla Sua essenza divina, mi comunica l’onniscienza e l’onnipotenza, anche il potere di fare tutte le cose”.
  6. Sebbene gli Apostoli e gli altri santi abbiano compiuto miracoli, Cristo, nel Vangelo di san Giovanni, dimostra spesso di essere il Messia e Dio attraverso i miracoli da Lui compiuti. Questa prova è vera ed efficace, anzitutto perché Egli Stesso se ne è servito direttamente. Perché un miracolo, in quanto opera di Dio e vera Voce della prima Verità, è una prova infallibile di ciò che viene addotto a conferma. In secondo luogo, perché Cristo li ha compiuti con la Propria potenza e autorità, cosa che non avrebbe potuto fare se non fosse stato Dio da Dio. Così li ha fatti perché risultassero provenire da Lui come da Dio, la fonte originaria dei miracoli. I santi, infatti, non fanno miracoli con la propria autorità, ma con l’invocazione del nome di Dio o di Cristo. Aggiungiamo che i miracoli compiuti da Cristo erano stati preannunciati da Isaia e dagli altri profeti, affinché fossero indici e segni del Messia, come si vedrà nel cap. 11.4.

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